Parla la fondatrice dell’associazione AVO, dott.ssa Renata Ciannella

La dott.ssa Renata Ciannella, fondatrice dell’AVO, associazione volontari ospedalieri che dedica il suo tempo ai malati degenti, è la figura importante e fortemente presente nel percorso formativo dei cittadini che decidono di aprire le porte dell’anima e del proprio tempo a questo tipo di solidarietà.

E’ molto incline a rispondere alle domande che spaziano da “Renata persona” a “Renata medico”, la cui fusione viene prestata attivamente all’Avo. Tutto questo argomentato con dovizia, facendo emergere le sue posizioni organicamente e intrinsecamente collegate a questo progetto “di  vita”.

Da dove è nata la sua scelta di diventare medico?

Ci descriva, con un volo pindarico, il suo percorso professionale.

<<Ho scelto di fare il medico perché mi piaceva la materia, reputandola , sempre, attuale. Poi, desideravo, anche, fare una scelta professionale utile per gli altri. Non per ultimo, per mettermi in gioco, dato che c’erano pochissime donne. Su 500 iscritti, 25 donne. Un sfida all’intelligenza maschile. All’inizio è stato difficile, dal momento che una donna medico non veniva accettata facilmente.  I primi passi sono stati da medico volontario nel reparto pediatria all’ospedale Cardarelli di Napoli. I miei primi pazienti sono stati i mutuati. Essendo napoletana, avevo scelto come ambito operativo Napoli, in seguito per motivi personali, mi sono trasferita. Nel ’69 feci il concorso presso l’ospedale di Pagani e lo vinsi. Questo fino al ’76, ma avendo costruito una famiglia, ho sentito il bisogno di curare, innanzitutto, i miei figli. Da qui la scelta di licenziarmi e di lavorare come privato>>.

Che rapporto ha con i suoi pazienti? Ci sono stati casi particolari che hanno segnato la sua carriera?

<<Ho un rapporto molto personale, non asettico. Non  considerandolo solo un malato, mi preoccupo in particolar modo del suo stato psicologico. Un caso  particolare mi capitò a Napoli. Un paziente ebbe un edema polmonare improvviso . Non essendo disponibile un altro medico, pensarono di chiamare me. Come si diceva nel mio quartiere:” a signurin fa pur ‘o dottor!”.  Lì, mi trovai sia di fronte alla paura di sbagliare sia di fronte all’eventuale rimorso di essermi sottratta a un’ operazione tecnica necessaria. Decisi , quindi, di prendere una lametta e procedetti al “salasso”. Intervento riuscito, sicché quello fu il primo gradino della mia buona reputazione da medico>>.

 

        Quando ha deciso di fondare l’Avo a Nocera e con quali prospettive?

<<L’ho fondata nel 1981 con un gruppo di amici del movimento dei “Focolarini”. Lo stesso prof. Longhini è un suo componente. L’AVO iniziò a prender piede anche in Campania, infatti una mia amica , Rita Civale, iniziò un percorso per indottrinarsi, sorgendo da ciò la necessità dell’apporto di altre energie umane per dare concreta realizzazione al progetto embrionale locale. Dall’ anno 1981 fino al 2004 sono stata Presidente. Dal 2004 al 2010, invece, sono stata Presidente di disciplina e, infine, nel 2011 ho lasciato il testimone per non far legare l’associazione alla persona, dotandola, così, di indipendenza. Le prime entrate in ospedale hanno fatto serpeggiare lo scetticismo tra gli operatori della struttura ospedaliera. In seguito, addentrandoci nella trafila dell’organizzazione sanitaria con perseveranza e ostinazione, siamo giunti a esser  la prima AVO in Campania a esser assicurati a carico del sistema sanitario. Portandoci, addirittura, come esempio>>.

Ha ricordi che Le hanno rafforzato il suo bisogno di prestare la sua professionalità nel volontariato?

<<Ho avuto modo di vedere come l’Avo abbia cambiato gli stessi volontari, prescindendo dai malati che assistevano.  Ricordo, a esempio, due giovani donne che avevano subìto il lutto dei loro mariti da pochi mesi, decisero di entrare a far parte del nostro gruppo per limare la disperazione per il lutto. Alcuni, addirittura, hanno cambiato ideologia.  Un volontario si presentò a me dicendo di esser un comunista –sindacalista della Star, pensando fosse una condizione invalidante. Io chiesi a lui, semplicemente:<< hai voglia di aiutare gli altri?>>. Alla sua risposta positiva, dissi: hai tutto quello che ti occorre. E’ una testimonianza di cambiamento, perché dopo alcuni anni l’ho ritrovato nella mia parrocchia, come catechista>>.

      E’ un luogo comune che in Campania “poche cose” funzionano bene. La sinergia tra medici e volontari AVO, può esser un sistema derogatorio e, quindi, eccezionale di efficienza?

<<Sì,  dal momento che ho notato una lenta e progressiva umanizzazione. Pian piano si è compresa la modalità più adatta nel rapportarsi ai degenti. Questo, ha fatto scaturire un cambiamento palpabile nell’atteggiamento degli stessi operatori. Da qui, fiducia. Sono stati, addirittura, dati anche indicatori di qualità>>.

L’ AVO è un’associazione laica, ma, durante il corso di formazione, Lei fa diversi riferimenti al “Principale” (come Lei stessa lo ha definito, ndr). Che rapporto ha con la religione?

<<Per me, Dio è la guida della mia esistenza. Tutto è in sintonia con Lui. E tutto è ricondotto a Lui>>.

 

   Sempre in costanza del corso, Lei focalizza molto l’attenzione sui sentimenti.

Per chi non ha ascoltato le sue lezioni potrebbe fare un sunto, che funge da monito per la lettura dei comportamenti altrui e propri?

<<I volontari devono imparare a fare diagnosi, non sono medici, ma con la dotazione di piccoli strumenti di psicologia, accessibili a tutti, riescono a delineare un quadro e operare per la miglior risoluzione, relativamente alle proprie competenze e ambito.

Importante è fare “tabula rasa” della propria situazione personale nel momento del varco della soglia del reparto, guardare in viso l’ammalato e capire quale sentimento lo attraversa e il momento del bisogno. Rispolverando, cioè, la famosa scala di Maslow>>.

Con quali aggettivi presenterebbe l’AVO a chi non ne ha mai sentito parlare per  fare altri proseliti?

<<Umanizzazione, disponibilità verso l’altro, arricchimento personale.

Il fattore della realizzazione personale non è da sottovalutare, dato che ci si realizza nella misura in cui anche quando gli altri arrivano alla propria realizzazione. Non è un viaggio da fare da solo. Il volontariato non è un dare e avere, ma uno scambio>>.

 

Maria Rosaria Cardenuto

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